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A.S. 2005/2006 - PRIMA PROVA |
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PROVA DI ITALIANO
(pdf)
Per tutti gli indirizzi di ordinamento e sperimentali
Allegati:
LINGUA SLOVENA (pdf)
LINGUA LADINA (pdf)
LINGUA TEDESCA (pdf)
P000 - ESAMI DI STATO
CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE
PROVA DI ITALIANO
(per tutti gli indirizzi: di
ordinamento e sperimentali)
Svolgi la prova, scegliendo una delle quattro
tipologie qui proposte.
TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO
Giuseppe
Ungaretti, L’isola (da Sentimento del tempo, 1919-1935, e in Vita d’un uomo, Mondadori, 1992)
1 |
A
una proda ove sera era perenne |
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L’ombra
negli occhi s’addensava |
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Di
anziane selve assorte, scese, |
15 |
Delle
vergini3 come |
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E
s’inoltrò |
|
Sera
appiè degli ulivi; |
|
E
lo richiamò rumore di penne |
|
Distillavano
i rami |
5 |
Ch’erasi sciolto1 dallo stridulo |
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Una
pioggia pigra di dardi, |
|
Batticuore
dell’acqua torrida, |
|
Qua
pecore s’erano appisolate |
|
E
una larva (languiva |
20 |
Sotto
il liscio tepore, |
|
E
rifioriva) vide; |
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Altre
brucavano |
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Ritornato
a salire vide |
|
La
coltre luminosa; |
10 |
Ch’era
una ninfa e dormiva |
|
Le
mani del pastore erano un vetro |
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Ritta
abbracciata ad un olmo. |
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Levigato
da fioca febbre. |
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In sé da simulacro a fiamma vera |
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Errando2,
giunse a un prato ove |
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1 - erasi sciolto: si
era staccato, sollevato
2 - In sé…Errando: vagando
col pensiero da una visione larvata ad una sensazione più forte
3 - L’ombra…delle vergini: negli occhi delle ninfe
si addensava l’ombra (del sonno, ma anche della zona boscosa).
Giuseppe Ungaretti
(Alessandria d’Egitto, 1888 – Milano, 1970) di famiglia lucchese, dall’Egitto
si trasferì in Europa, desideroso di fare nuove esperienze di vita e di
cultura. Ebbe contatti a Parigi con la poesia simbolista e postsimbolista e con
la filosofia di Bergson. Nella Prima Guerra Mondiale combatté in Italia, sul
Carso. Visse a lungo a Roma. Sue principali raccolte poetiche: L’Allegria, 1919; Sentimento del tempo, 1933; Il
Dolore, 1947; Terra promessa,
1950 (tutte con successive edizioni ampliate). –
La lirica L’isola (del 1925, poi rielaborata)
rievoca, come un sogno, una visita che Ungaretti, da Roma, aveva compiuto nella
campagna intorno a Tivoli: non si tratta di una vera isola, ma di un paesaggio
campestre, arcadico, in cui il poeta si era isolato e immerso, trasfigurando
presenze reali in immagini mitiche.
1. Comprensione del testo
Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe
precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto
informativo (movimenti del poeta nei luoghi; altre presenze reali; figure
immaginarie).
2. Analisi del testo
2.1. A quale personaggio si riferiscono i verbi scese, s’inoltrò, vide (due volte), giunse (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono?
2.2. Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti
della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto
con quelli indicati nella domanda precedente?
2.3. Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si
tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni ove sera era perenne (v. 1), acqua torrida (v. 6), la coltre luminosa (v. 22).
2.4. Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole proda (v. 1), larva (v. 7) e simulacro (v.
12).
2.5. Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che
ricavi dalle espressioni rumore di penne, stridulo batticuore, acqua torrida e dal verbo erasi sciolto.
2.6. Al v. 18 i dardi sono i raggi
del sole che scendono attraverso i rami. Commenta l’espressione pioggia pigra di dardi, in cui un
carattere umano, la pigrizia, è attribuito ad un elemento naturale.
2.7. Commenta i due versi finali, rendendo con parole tue l’aspetto delle
mani del pastore. (Ricorda che non lontano da Tivoli, nella campagna romana, a
quel tempo era ancora diffusa la febbre malarica).
3. Interpretazione complessiva
e approfondimenti
Riflettendo su questa
lirica, e utilizzando le tue conoscenze di altre poesie di Ungaretti, commenta
nell’insieme questo testo, per metterne in evidenza la libertà metrica e
l’intreccio di richiami simbolici, che sfuggono a una ricostruzione logica
ordinaria. Riferisciti anche al quadro generale delle tendenze poetiche,
artistiche e culturali del primo Novecento in Italia e in Europa.
TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN "SAGGIO BREVE"
O DI UN "ARTICOLO DI GIORNALE"
(puoi scegliere uno degli argomenti relativi
ai quattro ambiti proposti)
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo
di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano.
Se scegli la forma del “saggio
breve”, interpreta e confronta i
documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua
trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze
di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane
una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di
ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Se lo ritieni, organizza la trattazione
suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei
documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e
costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’.
Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale
sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa,
giornale scolastico, altro).
Per attualizzare
l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre,
anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Per entrambe le forme di scrittura non
superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO
ARGOMENTO: Il distacco nell’esperienza ricorrente dell’esistenza umana: senso di
perdita e di straniamento, fruttuoso
percorso di crescita personale.
DOCUMENTI
Dopo aver traversato terre e mari, |
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Ma ora, così come sono,
accetta queste offerte |
eccomi, con queste povere
offerte agli dèi sotterranei, |
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bagnate di molto pianto
fraterno: |
estremo dono di morte per
te, fratello, |
|
le porto seguendo l’antica
usanza degli avi, |
a dire vane parole alle
tue ceneri mute, |
|
come dolente dono agli dèi
sotterranei. |
perché te, proprio te, la
sorte m’ ha portato via, |
|
E ti saluto per sempre,
fratello, addio! |
infelice fratello,
strappato a me così crudelmente. |
|
CATULLO, Dopo aver traversato
terre e mari,
trad. S. Quasimodo, Milano 1968 |
Da' colli Euganei, 11 Ottobre 1797
«Il sacrificio della patria nostra è consumato:
tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per
piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di
proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta
a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito,
e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or
dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere
dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di
pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E
noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue
degl'italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e
di me, aspetto tranquillamente la prigione e
la morte. Il mio cadavere
almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente
compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa
poseranno su la terra de' miei padri»
U. FOSCOLO, Ultime
lettere di Jacopo Ortis, 1802
«Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali,
note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia
l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio,
come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo,
come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi,
cresciuto tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un
pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore
d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera,
casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore;
nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa.
Addio, chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del
Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore
doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi
santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la
gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.»
A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. VIII, 1840
«Era il primo squarcio nella
santità del babbo, la prima crepa nei pilastri che avevano sorretto la mia vita
infantile e che ogni uomo deve abbattere prima di diventare se stesso. La linea
essenziale del nostro destino è fatta di queste esperienze che nessuno vede.
Quello squarcio e quella crepa si richiudono, si rimarginano e vengono
dimenticati, ma in fondo al cuore continuano a vivere e a sanguinare.
Io stesso ebbi subito orrore
di quel nuovo sentimento e avrei voluto buttarmi ai piedi di mio padre per
farmelo perdonare. Ma non si può farsi perdonare le cose essenziali: lo sente e
lo sa il bambino con la stessa profondità dell’uomo saggio.
Sentivo il bisogno di
riflettere e di trovare una via d’uscita per l’indomani, ma non vi riuscii.
Tutta la sera fui occupato ad assuefarmi alla mutata atmosfera del nostro
salotto. La pendola e la tavola, la Bibbia e lo specchio, lo scaffale e i
quadri alla parete prendevano commiato da me, e col cuore sempre più freddo ero
costretto a veder sprofondare nel passato e staccarsi da me il mio mondo e la
mia bella vita felice. Ero costretto a sentire le mie nuove radici che
affondavano nel buio e succhiavano un mondo estraneo. Per la prima volta
assaggiai la morte che ha un sapore amaro perché è nascita, angoscia e paura di
un tremendo rinnovamento»
H.
HESSE: Demian,1919, trad. it Mondadori, 1961
«Ero partita per il Nord immaginando che la pena
dell'addio si sarebbe consumata al momento dei saluti. In mezzo a un mondo
ricco di novità eccitanti - un mondo che aspettava solo me -, la mia nostalgia
era destinata a sbiadire rapidamente.
Così fantasticavo, e le mie fantasie di adolescente
sconfinavano spesso nell'esaltazione.
Ma l'impatto fu atroce.
Quando, con un gesto deciso, si lacera un pezzo di
stoffa, ci restano tra le mani due brandelli malinconicamente sfrangiati, e
occorre lavorare con minuzia e pazienza per rimediare.
Le sfilacciature rimaste dopo lo strappo dalle
nostre consuetudini meridionali erano tante, e ci vollero anni perché io e la
mia famiglia potessimo restaurare i lembi delle nostre identità lacerate.
L'ansia suscitata in noi da modi di vita che ci
erano estranei si manifestava sotto forma di diffidenza. E poi c'era la
nostalgia, che non voleva sbiadire. E la retorica, che la sobillava.»
G.
SCHELOTTO, Distacchi e altri addii,
Mondadori, 2003
«Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente
abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo
i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita.
Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio non da
turisti, persino la lettura di un libro sono delle migrazioni interiori. Poi
c'è la migrazione di chi lascia la madre terra per vivere altrove: una volta
gli uccelli, oggi gli uomini. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche
interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. E' un
processo lungo e doloroso. Chi sono? Sono tutti i miei personaggi ("Madame
Bovary c'est moi!" diceva Flaubert). Tutte le mie storie hanno qualcosa di
me e nascono probabilmente dai miei conflitti interni. Le mie origini sono
portoghesi, da parte della famiglia di mio padre, e tedesche (prussiane) da
parte di mia madre. Ho vissuto l'infanzia in Brasile, la mia vera patria; penso
che il mio italiano sarà sempre un po' lusofonico. Se sono arrivata a
destinazione? Fortunatamente no. Solo nel momento della mia morte potrò dire di
esserci arrivata. E anche allora penso che inizierò un nuovo viaggio. Una nuova
migrazione.»
Da
un’intervista di C. Collina alla scrittrice brasiliana Christiana de CALDAS
BRITO,
in
“Leggere-Donna”, n. 98, Ferrara, 2002
«Quando uno parte, si sa,
dev’essere pronto a tornare o a non tornare affatto. È una porta che lui apre
all’interno di una stanza buia, e che a volte si rinchiude da sola alle sue
spalle.
Già emigrare – partire con
un’idea chiara del non ritorno – è la radicalizzazione di questa esperienza. È
rinunciare a un certo “se stesso” (e quindi accettare il lutto di vederlo prima
atrofizzarsi e poi perire per totale assenza di contiguità con i personaggi del
passato), per scommettere su un futuro “se stesso” totalmente ipotetico: un
rischio assoluto. Quando la scimmia lascia il ramo dov’è appesa, per
aggrapparsi a un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi
l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la
scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa
dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che
aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto»
Da un’intervista allo
scrittore brasiliano Julio MONTEIRO MARTINS, a cura della redazione
di “Voci dal silenzio – Culture e letteratura della migrazione”, Ferrara -
Lucca, dicembre 2003

«La partenza [per De
Chirico] è un distacco traumatico, con riferimenti biografici (da Volos, cioè
dalla sua città natale, partirono gli Argonauti alla ricerca del vello d’oro),
ma anche con un destino di viaggi e delusioni, avventure e depressioni, fino ad
una probabile conquista…Un nuovo arrivo e subito dopo una nuova partenza: resta
quello di Odisseo il mito centrale per De Chirico, l’uomo che ricerca se stesso
attraverso la peregrinazione e la perdita di tutto, tranne che della memoria»
M. FAGIOLO
DELL’ARCO, Pensare per immagini, in
“I classici dell’arte - il Novecento - De Chirico”, Rizzoli 2004
G. DE
CHIRICO, L’angoscia della partenza,
1913
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: Città e periferie: paradigmi della vita
associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva.
DOCUMENTI
«Quale uso fare della città? Quale uso se ne è fatto nella Storia?
Quante utopie hanno attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città
ideale”? E quanti abusi? Se rivolgiamo i nostri pensieri alle città europee
così come ci sono state consegnate dalla Storia, ecco che i confronti con
l’attualità diventano subito un atto dovuto e altrettanto ineludibili i
riferimenti ai disagi metropolitani di cui siamo testimoni oltre che
recalcitranti vittime designate…I due problemi con i quali ci siamo trovati a
fare i conti nelle città europee negli ultimi decenni sono il traffico
automobilistico e il degrado o la manomissione dei Centri Storici»
L. MALERBA, Città e dintorni, Milano 2001
«La città tradizionale dell’Europa mediterranea, che
viene generalmente presa come modello…, è un organismo a tre elementi attorno
ai quali si ripartiscono le sue attività e si definisce il suo ruolo. Il primo
è l’elemento sacro, che simbolizza la protezione degli dei e impone dei doveri
collettivi, generatori di disciplina. Il secondo è l’elemento militare, o della
sovranità, rappresentativo del potere e del possesso dello spazio dominato
dalla città…Il terzo è il mercato con i suoi annessi artigianali, luoghi dove
si realizza l’economia specificamente cittadina…Nella misura in cui il mercato
rappresenta il luogo della riunione funzionale della popolazione attiva della
città, esso può divenire simbolo di democrazia..., ma può anche essere simbolo
dell’affermazione dell’autorità del sovrano…Dovunque si presenti, la città
ripropone sempre i tre elementi mediterranei unendo il sacro, il politico e
l’economico…All’inizio del XX secolo le città europee sono, di fatto, delle
città socialmente settorializzate, esclusivamente su basi qualitative:
quartieri di lusso e quartieri operai, o quartieri poveri…Nella nostra epoca la
prima spinta di crescita urbana che spezza i ritmi lenti e unitari del passato
è quella del periodo che intercorre tra le due guerre mondiali…
A questo punto il quadro urbano risulta superato e le città tendono a
scoppiare…L’unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione,
che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta…»
Dalla voce Città, curata da P. GEORGE, nella “Enciclopedia delle scienze
sociali”,
Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, vol.I, Roma, 1991
«Il
sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità urbana tra un centro
strutturato, sedimentato e riconoscibile e un “resto” per molti aspetti casuale (Vittorini). L’anomalia periferica si
presenta in termini relativi come “altro dalla città”, e in termini assoluti,
come incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza: “un nuovo oggetto
storico” senza limiti, né soglie; un “dappertutto che è nessun luogo” (Rella)»
F. PEREGO, “Europolis
e la variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
«Le periferie non sono dei “non luoghi”. Con l’espressione “non luogo”
caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la nostra società contemporanea. Il
“luogo” per un antropologo è uno spazio nel quale tutto fa segno. O, più
esattamente, è un luogo nel quale si può leggere attraverso l’organizzazione
dello spazio tutta la struttura sociale…Oggi viviamo in un mondo nel quale lo
spazio dei “non luoghi” si è di molto accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi
della circolazione, del consumo, della comunicazione, eccetera. Sono spazi di
solitudine…Prendiamo l’esempio di un supermercato. Ha tutti gli aspetti di un
“non luogo”. Ma un supermercato può diventare anche un luogo di appuntamento
per i giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo punto di vista si
può dire che le banlieues sono dei
“non luoghi” per la gente che viene da fuori…Ma sono, viceversa , dei “luoghi”
di vita per molte persone»
M. AUGÉ, L’incendio di Parigi, “MicroMega” n. 7/2005
«Se le nostre città non si riqualificano, a cominciare dalle periferie,
consegneremo alle nuove generazioni un futuro di barbarie…La più grave malattia
delle città si chiama esplosione urbana - dice Piano - una crescita forsennata,
che dobbiamo correggere con interventi mirati per integrare il tessuto
urbanistico e sociale delle periferie con il resto della città». Quindi,
demolire o riqualificare i mostri in cemento nelle periferie? «La demolizione è
un rimedio estremo, al quale ricorrere soltanto quando mancano i requisiti minimi della vivibilità,
per esempio la luce e la tutela della salute». La seconda proposta riguarda le
funzioni dei quartieri periferici. «La loro vita non può ridursi solo alla dimensione
residenziale, così sono condannati a trasformarsi in giganteschi dormitori -
afferma Piano - non a caso, quando ho progettato l’auditorium a Roma, ho voluto
definirlo la fabbrica della musica. Attorno alle sale, in un’area di venti
ettari, ho ipotizzato un parco pubblico, negozi, residenze e perfino un
albergo». Il terzo punto decisivo del «manifesto» di Renzo Piano riguarda
proprio gli architetti e il loro modo di lavorare. «Ogni angolo di territorio
urbano che torna a vivere è anche un’opportunità economica. Per tutti - ... - a
cominciare dagli architetti. Noi abbiamo bisogno di competenza e di umiltà.
Pensare in grande, ma accontentarsi anche di piccoli progetti. E avere sempre
una bussola etica perché attraverso la microchirurgia sul territorio può
passare anche un nuovo umanesimo della vita urbana. Nelle periferie,
l’immigrazione diventa più sostenibile se si impedisce che alla separazione
sociale si sovrapponga quella etnica. Come accade, purtroppo, nei quartieri
dormitorio»
A. GALDO, Periferie: la profezia di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
«La città è anzitutto lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive;
…La Città dell’antichità, anche quando è il centro di un potente impero, appare
in una luce di gloria inseparabile dalla caducità, dall’eterno destino di
vanità delle cose umane: Ninive, Persepoli o Babilonia evocano grandezza e
rovina, indissolubili come le due facce di una moneta; …Atene, culla della
civiltà e della politica mondiale, è la Polis, la città in cui i rapporti umani
sono personali e concreti e tutto è visibile e tangibile, pure il meccanismo
della vita sociale e del potere. Solo Roma - la Roma imperiale e promiscua del Satyricon - è una metropoli nel senso
moderno, più simile a Londra o a New York che alle città greche, egizie od
orientali dell’antichità. Nella modernità, la città si identifica con la
borghesia - più tardi col proletariato industriale…la città, con le sue
trasformazioni che sventrano e smontano il passato, è il movimento stesso delle
sorti e dei sentimenti umani, il ritmo della vita e della storia che
la racconta. La
metropoli...cambia la sensibilità e la percezione dell’individuo, diviene una
sua pelle sensibilissima che reagisce, anche e soprattutto subliminalmente, al
continuo bombardamento di stimoli veloci ed effimeri»
C. MAGRIS, Amori, speranze, morte, le città della nostra
vita, CORRIERE DELLA SERA, 9/9/2005
«La periferia, lo si voglia o no, è la città
moderna, è la città che abbiamo costruito…Se non sapremo di questa città
cogliere non solo gli aspetti negativi, che sono tanti e indiscutibili, ma
anche gli aspetti positivi, difficilmente riusciremo a rovesciare un processo
che minaccia di travolgere il senso profondo della città, quella funzione di
cui così chiaramente parla Aristotele quando dice che gli uomini hanno fondato
la città per vivere meglio insieme… Secondo me la periferia è soprattutto una
città non finita o meglio che non ha ancora raggiunto il momento della qualità,
ma i famosi centri storici...sono stati anch’essi, prima di raggiungere questa
condizione di equilibrio che ne sancisce l’intoccabilità, delle opere non
compiute...Perché allora non guardare alla periferia non soltanto con il giusto
sdegno che meritano i suoi particolari slegati, le sue caratteristiche di
incompiutezza e di mancanza di significato, ma anche con umanistica “pietas” e
cioè con amore, come una realtà da affrontare, di cui aver cura, in cui
rispecchiare noi stessi in quanto essa è
bene o male il prodotto delle nostre illusioni, delle nostre buone intenzioni
non realizzate?»
P. PORTOGHESI, Riprogettare la città, in AA.VV. Europolis –
La riqualificazione delle città in Europa.
Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
«È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato
ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il
suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di
paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le
prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra...Anche le città
credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a
tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette
meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. – O la domanda che ti pone
obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge»
I. CALVINO, Le città invisibili, 1972, III
3. AMBITO STORICO - POLITICO
ARGOMENTO: Democrazia e nazione, unità d’Italia e
d’Europa, libertà e fratellanza sono i cardini del pensiero politico di
Giuseppe Mazzini (1805-1872).
DOCUMENTI
«V’è nella mente di tanti italiani un Mazzini
immaginario. V’è un Mazzini patriota, il più ardente patriota: uno dei “quattro
fattori d’Italia” bene accostato, nelle poetiche sintesi e nelle narrazioni usuali,
a Garibaldi, come a Cavour e a Vittorio Emanuele II;…V’è un Mazzini
cospiratore…V’è un Mazzini pensatore sprofondato a dettare comandamenti,
precetti morali, a formulare una dottrina morale, non solo per la politica ma
per l’economia sociale…V’è un Mazzini quasi quasi ancora interessante,
eccitatore di meditazioni, di elucubrazioni sul fatale andare dell’evoluzione
sociale, sui guai che essa conduce seco; c’è un Mazzini morto per il tempo
nostro, cioè superato, e non in grado di rispondere alle imperiose domande
dell’attualità…Vorrei dir meglio: che sia giunto il momento dell’inizio di un
serio studio del pensiero mazziniano, per il quale siano bandite la predica
delle formule, la ripetizione delle frasi fatte, la retorica di inconcludenti
cosiddetti cultori delle dottrine del (iniziale maiuscola) Maestro, e siano
seguite indicazioni e ispirazioni per un’azione feconda di tutti coloro i quali
sono impegnati nella politica, nel movimento sociale?»
G. CONTI, Alle fiamme il manichino, in G. Mazzini. L’uomo e le idee, Roma,
Edizioni Nuova Repubblica, 1998
Dal Manifesto del
triumvirato della Repubblica Romana (Armellini, Mazzini, Saffi), 5 aprile 1849:
«…Noi non siamo Governo d’un partito, ma Governo
della Nazione…Né intolleranza né debolezza. La Repubblica è conciliatrice ed
energica...La Nazione ha vinto…Il suo Governo deve avere la calma generosa e
serena, e non deve conoscere gli abusi della vittoria. Inesorabile quanto al
principio, tollerante e imparziale con gl’individui; né codardo né provocatore:
tale dev’essere un Governo per essere degno dell’istituzione repubblicana.
Economia negli impieghi; moralità nella scelta degl’impiegati; capacità,
accertata dovunque si può per concorso, messa a capo d’ogni ufficio, nella
sfera amministrativa. Ordine e severità di verificazione e censura nella sfera
finanziaria; limitazione di spese, guerra ad ogni prodigalità…Non guerra di
classi, non ostilità alle ricchezze acquistate, non violazioni improvvide o
ingiuste di proprietà, ma tendenza continua al miglioramento materiale dei meno
favoriti dalla fortuna, e volontà ferma di ristabilire il credito dello Stato,
e freno a qualunque egoismo colpevole di monopolio, d’artificio, o di
resistenza passiva…Poche e caute leggi, ma vigilanza decisa
sull’esecuzione…Sono queste le basi generali del nostro programma».
G. MAZZINI, Scritti, Roma, 1877, vol.
VII
«La tendenza democratica dei nostri tempi, il moto
di ascesa delle classi popolari desiderose di prender parte alla vita politica
– finora riservata a una cerchia di privilegiati – non è più un sogno utopico,
né un’incerta previsione: è un fatto, un grande fatto europeo che occupa ogni
mente, incide sugli indirizzi dei governi, sfida ogni opposizione…Le idee che
hanno agitato per lungo tempo il campo della Democrazia, quando vengono
ponderatamente esaminate, possono essere raggruppate in due grandi dottrine; le
quali, a loro volta, potrebbero essere riassunte in due parole: Diritti e Doveri. Dietro queste due grandi dottrine ci sono certo numerose
varietà, e le varietà apparenti sono ancora di più…la Democrazia è soprattutto
un problema educativo, e poiché il
valore dell’educazione dipende dalla verità del principio su cui si basa,
l’intero futuro della Democrazia è condizionato da tale questione».
G. MAZZINI, in “People’s Journal”, n. 35, 28/8/1846 e n. 40, 3/10/1846, ora in
Pensieri sulla Democrazia in
Europa, a
cura di S. Mastellone, Milano, Feltrinelli, 1997
«Dubito che, nella sua generazione, ci sia stato
nessuno che abbia esercitato sui destini dell’Europa un’influenza altrettanto
profonda. La carta dell’Europa quale la vediamo oggi è quella di Giuseppe
Mazzini. Mazzini è stato il profeta della libera nazionalità…Lo splendido
edificio innalzato da Bismarck è miseramente disfatto, ma i sogni di quel
giovane, venuto in Inghilterra come esule e vissuto qui anni e anni in povertà,
vivendo della carità degli amici e armato soltanto della sua penna, sono ora
diventati stupefacenti realtà in tutto il continente…Non ci ha insegnato
soltanto i diritti di una nazione: ci ha insegnato i diritti delle
altre…Mazzini è il padre dell’idea della Lega delle Nazioni».
LLOYD
GEORGE, in “The Times”, 29/6/1922, riportato in Denis MACK SMITH, Mazzini, Milano, Rizzoli, 1993
«Non si può ricordare degnamente Mazzini senza
mettere in rilievo il fondamento etico-religioso del suo pensiero politico, che
tendeva ad un laicismo che non fosse privo di spiritualità, e ad una politica
che non mancasse di moralità».
L.
STURZO, Dio e popolo (12 maggio
1949), in G. Mazzini. L’uomo e le idee,
Roma, Edizioni Nuova Repubblica, 1998
4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Finalità e limiti della conoscenza
scientifica: che cosa ci dice la scienza sul mondo che ci circonda, su noi
stessi e sul senso della vita?
DOCUMENTI
«Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno
avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo
allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta».
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 1921,
6.52
«Viviamo in un mondo che ci
disorienta con la sua complessità. Vogliamo comprendere ciò che vediamo attorno
a noi e chiederci: Qual è la natura dell’universo? Qual è il nostro posto in
esso? Da che cosa ha avuto origine l’universo e da dove veniamo
noi?…quand’anche ci fosse una sola teoria unificata possibile, essa sarebbe
solo un insieme di regole e di equazioni. Che cos’è che infonde vita nelle
equazioni e che costruisce un universo che possa essere descritto da esse?
L’approccio consueto della scienza, consistente nel costruire un modello
matematico, non può rispondere alle domande del perché dovrebbe esserci un
universo reale descrivibile da quel modello. Perché l’universo si dà la pena di
esistere?...Se però perverremo a scoprire una teoria completa, essa dovrebbe
essere col tempo comprensibile a tutti nei suoi principi generali, e non solo a
pochi scienziati. Noi tutti - filosofi, scienziati e gente comune - dovremmo
allora essere in grado di partecipare alla discussione del problema del perché noi e l’universo
esistiamo. Se riusciremo a trovare la risposta a questa domanda, decreteremo il
trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di
Dio»
S.
HAWKING, Dal Big Bang ai buchi neri,
1988
«Come l’arte, anche la scienza
non è affatto semplicemente una attività culturale dell’uomo. La scienza è un
modo, e un modo decisivo, in cui si presenta a noi tutto ciò che è. Per questo
dobbiamo dire che la realtà, entro la quale l’uomo odierno si muove e si sforza
di mantenersi, è codeterminata in misura crescente nei suoi tratti fondamentali
da ciò che si usa chiamare la scienza occidentale o la scienza europea. Se
riflettiamo su questo processo, vediamo che la scienza, nel mondo occidentale e
nelle varie epoche della storia di questo, ha sviluppato una potenza mai prima
conosciuta sulla terra ed è sul punto di estendere conclusivamente questa
potenza su tutto il globo terrestre. Si può dire che la scienza sia solo un
prodotto dell’uomo sviluppatosi fino a questo livello di dominio, così che ci
si potrebbe aspettare che un giorno…sia anche possibile rovesciare questo suo
dominio? Oppure qui domina un destino di più ampia portata? Forse nella scienza
c’è qualcos’altro che domina, oltre al puro voler-sapere dell’uomo? In effetti
è proprio così. C’è qualcos’altro che qui domina. Ma questo altro ci si
nasconde, fino a che rimaniamo attaccati alle rappresentazioni correnti della
scienza»
M.
HEIDEGGER, Scienza e meditazione,
Conferenza tenuta a Monaco il 4/8/1953, ora in Saggi e discorsi, 1957
«I progressi della scienza sono un capitolo tra i più affascinanti
nella storia del nostro tempo. I suoi enormi successi sono stati raggiunti,
peraltro, attraverso una delimitazione metodica. Ci si è limitati strettamente
e del tutto consapevolmente a ricercare soltanto ciò che poteva essere misurato
e contato. Ma ogni delimitazione comporta anche dei confini e dunque sono
“rimaste fuori” tutte le questioni che riguardano il perché dell’esistenza, da
dove veniamo, dove andiamo». Quindi? «Se gli scienziati affermassero che quanto
hanno scoperto esaurisce tutta la realtà, si avrebbe un superamento dei limiti.
E allora si deve replicare, non tanto per motivi di fede ma per motivi di
ragione: “Questo è troppo poco”. L’intelligenza umana va oltre il misurabile e
l’enumerabile. Arriva anche alle grandi questioni metafisiche, alla domanda di
senso»
Da un’intervista a Ch.
Schoenborn, in M. POLITI, C’è un Disegno
nell’universo, LA REPUBBLICA, 6/11/2005
«Ogni volta che un filosofo vi dirà di aver
scoperta la verità definitiva non credetegli; e non credetegli neppure se vi
dirà di aver individuato il bene supremo. Egli, infatti, si limiterebbe a
ripetere gli errori commessi dai suoi predecessori per duemila anni…Si pretenda
dal filosofo che sia modesto come lo scienziato; allora egli potrà avere il
successo dell’uomo di scienza. Ma non gli si chieda che cosa dobbiamo fare.
Ascoltiamo piuttosto la nostra volontà e cerchiamo di unirla a quella degli
altri. Il mondo non ha alcuno scopo o significato all’infuori di quello che vi
introduciamo noi»
H.
REICHENBACH, La nascita della filosofia
scientifica, 1951, trad. it. 1961
«La scienza, che cominciò
come ricerca della verità, sta divenendo incompatibile con la veridicità,
poiché la completa veridicità tende sempre più al completo scetticismo
scientifico. Quando la scienza è considerata contemplativamente, non
praticamente, ci si accorge che ciò che crediamo lo crediamo per la nostra fede
animale, e che alla scienza dobbiamo solo i nostri disinganni. Quando, d’altro
canto, la scienza si considera come una tecnica per la trasformazione di noi
stessi e di quanto ci sta attorno, vediamo che ci dà un potere del tutto
indipendente dalla sua validità metafisica. Ma noi possiamo solo usare questa
potenza, cessando di rivolgerci delle domande metafisiche sulla natura della
realtà. Eppure queste domande sono la testimonianza dell’atteggiamento di amore
verso il mondo. Così, solo in quanto noi rinunciamo al mondo come amanti,
possiamo conquistarlo da tecnici. Ma questa divisione dell’anima è fatale a ciò
che vi è di meglio nell’uomo. Non appena si comprende l’insuccesso della
scienza considerata come metafisica, il potere conferito dalla scienza come
tecnica si otterrà solo da qualcosa di analogo alla adorazione di Satana, cioè,
dalla rinuncia dell’amore…La sfera dei valori sta al di fuori della scienza,
salvo nel tratto in cui la scienza consiste della ricerca del sapere. La
scienza, come ricerca del potere, non deve ostacolare la sfera dei valori, e la
tecnica scientifica, se vuole arricchire la vita umana, non deve superare i
fini a cui dovrebbe servire»
B.
RUSSELL, La visione scientifica del mondo,
cap. XVII, 1931
«Le mere scienze di fatti
creano meri uomini di fatto…Nella miseria della nostra vita – si sente dire –
questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei
problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi
tormentati, si sente in balìa del destino; i problemi del senso o del non-senso
dell’esistenza umana nel suo complesso…concernono l’uomo nel suo comportamento
di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, l’uomo che deve liberamente
scegliere, l’uomo che è libero di plasmare razionalmente se stesso e il mondo
che lo circonda. Che cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla
non-ragione, che cos’ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa
libertà?…La verità scientifica obiettiva è esclusivamente una constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo
psichico sia il mondo spirituale, di fatto è. Ma in realtà, il mondo e
l’esistenza umana possono avere un senso se le scienze ammettono come valido e
come vero soltanto ciò che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha
altro da insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i
legami di vita, gli ideali, le norme che volta per volta hanno fornito una
direzione agli uomini, si formano e poi si dissolvono come onde fuggenti, che
così è sempre stato e sempre sarà, che la ragione è destinata a trasformarsi
sempre di nuovo in non-senso, gli atti provvidi in flagelli? Possiamo
accontentarci di ciò, possiamo vivere in questo mondo in cui il divenire
storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e di amare
delusioni? »
E.
HUSSERL, La crisi delle scienze europee,
ed. post. 1959, § 2, passim
TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO
O.N.U., Patto Atlantico,
Unione Europea: tre grandi organizzazioni internazionali di cui l’Italia è
Stato membro.
Inquadra il profilo storico
di queste tre Organizzazioni e illustra gli indirizzi di politica estera su
cui, per ciascuna di esse, si è fondata la scelta dell’Italia di farne parte.
TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE
Campagne e
paesi d’Italia recano ancora le tracce di antichi mestieri che la produzione
industriale non ha soppiantato del tutto e le botteghe artigiane continuano ad
essere luoghi di saperi e di culture ai quali l’opinione pubblica guarda con
rinnovato interesse. Contemporaneamente, anche il mondo dell’artigiano è stato
investito dalla innovazione tecnologica che ne sta modificando contorni e
profilo.
Rifletti sulle
caratteristiche dell’artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed
economica che esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese.
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Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito soltanto l’uso del dizionario italiano.
Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3
ore dalla dettatura del tema.

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