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OCCUPAZIONE: OCSE, FLESSIBILITA’ PER I GIOVANI
di Roberta Giomini

Roma, 21 luglio 1998.

Flessibilità: oggi è la principale chiave per aprire le porte del lavoro, per rimettere in marcia il mercato dell’occupazione e per attenuare l’ansia da inattività. Più si è flessibili, mobili e disponibili a fare esperienze nuove, più sarà facile trovare spazi: una regola che ormai vale per gli adulti, ma ancora di più per i giovani, che in più possono contare su una naturale curiosità, su energie e idee nuove.

L’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nell’edizione 1998 del rapporto annuale "Le prospettive dell’Occupazione" segnala che nei 29 paesi più avanzati del mondo solo 3 giovani su 5 in media trovano rapidamente un’occupazione alla fine del ciclo scolastico superiore: ma per la metà dei giovani occupati si tratta di un impiego temporaneo ed a lungo termine molti di loro conosceranno, a più riprese, periodi di inattività. Con prospettive che variano molto da un paese all’altro: Austria, Danimarca, Germania e Usa registrano un più alto livello di occupazione giovanile rispetto agli altri paesi. Ma dove il livello generale di disoccupazione è elevato, come in Italia, i giovani sono particolarmente colpiti, a prescindere dal loro livello di formazione, proprio per la carenza di esperienza: per sconfiggere l’incubo della disoccupazione occorrono sistemi di apprendistato ben sviluppati, mentre "una legislazione eccessivamente stretta in materia di protezione dell’occupazione - scrive l’Ocse nel suo dossier presentato oggi al Cnel - può giocare contro i giovani".

Sopratutto nel caso dei giovani, sottolinea l’Ocse, la flessibilità lavorativa non deve essere considerata come una minaccia o come un grimaldello con cui possono essere aggirati vincoli di tutela salariale e previdenziale a garanzia dei lavoratori, ma come un’opportunità per mettere alla prova le competenze acquisite sui banchi di scuola, per arricchirle e ampliarle, per conoscere da vicino il mondo della produzione.

Stages, contratti di formazione, collaborazioni, part-time, apprendistato sono le parole che devono entrare nel lessico familiare dei giovani che intendono lanciarsi nel lavoro. L’Ocse lancia anche una sfida: per un ragazzo competenze e esperienze di lavoro valgono più dell’entità dello stipendio. Per qualche anno, all’inizio del percorso lavorativo, più che a quanto si guadagna, occorre badare a quanto si impara, senza lasciarsi allettare dalle sirene di immediati e stratosferici guadagni.

Il salario minimo può rappresentare un incentivo al lavoro, ma "se è fissato ad un livello - avverte l’Ocse - troppo elevato può comportare perdite di posti di lavoro" Secondo il monitoraggio contenuto nel dossier, in 17 paesi dei 29 dell’area Ocse esiste un salario minimo, la cui consistenza rispetto al salario mediano varia dal 33% di Giappone e Spagna al 60% di Belgio e Francia. I dati sembrano indicare che gli aumenti del salario minimo comportano per i giovani con meno di 20 anni un rischio maggiore di perdere il posto di lavoro.

La situazione del mercato del lavoro italiano presenta punte di particolare allarme: mentre nell’area OCSE il Pil crescerà nel biennio 1998-99 La ricchezza interna dei paesi aumenterà in media del 2,5%, mentre l’occupazione solo dell’1% circa: in Italia la crescita del Pil sarà in linea con i dati Ocse, ma l’occupazione crescerà solo dello 0,4%, meno della metà della media Ocse. I disoccupati resteranno all’incirca 2.700.000, pari all’11,9% di tutta la popolazione in età lavorativa, contro il 7% dei nostri partners Ocse.

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