Un'altra scuola
Da anni, forse da sempre - basti pensare al Socrate aristofaneo o all'Agamennone petroniano - la scuola è al centro di polemiche, più o meno fondate, provenienti da varie direzioni e aventi come bersaglio ora gli insegnamenti, ritenuti inadeguati se non addirittura inutili (basti pensare ai luoghi comuni sulla presunta inutilità del Latino) ora i docenti (sempre meno preparati, chissà mai perché) ora le tecniche e le metodologie che di quei saperi devono essere veicolo consapevole e non puramente strumentale. Tecniche e metodi che naturalmente è giusto riconsiderare, aggiornare, riposizionare, alla luce delle nuove esigenze e dei mutamenti della realtà storica, in una costante osmosi che non dovrebbe mai venir meno tra il mondo della scuola e il resto della società.
Si tratta di un processo, d'altronde, che non può né deve costringere l'istituzione scolastica a stravolgere i propri obiettivi di fondo o, peggio, a rinunciare alla sua prioritaria funzione, ben lontana da quella che, anche in tempi recenti, qualcuno ha creduto di poterle ascrivere: la scuola non può semplicemente sfornare le maestranze che il mondo del lavoro richiede (gli "impiegati intelligenti", secondo una felice definizione di M. Cacciari); essa, al contrario, deve lasciarsi ispirare dall'obiettivo, ben più ambizioso e delicato, di alimentare il percorso di crescita culturale dei giovani, rendendoli capaci di opporsi alla banalità dilagante e alla vacuità dissennata di talune forme di comunicazione mediatica. Proprio in quanto luogo privilegiato della Bildung, della formazione e del libero confronto, la scuola non deve abdicare alla sua funzione di formare l'uomo: essa deve guardarsi bene dal farsi strumento di accumulazione delle conoscenze e salvaguardare il principio che una testa ben fatta è migliore di una testa ben piena (Morin), giacché una testa che sappia interconnettere le conoscenze può ritenersi al riparo, per dirla con T.S. Eliot, "dagli spazi ventosi che la intronano" (a dull head among windy spaces).
Di questi problemi il mondo della scuola è consapevole e discute al suo interno da anni, facendo ogni giorno i conti con una demotivazione allo studio che, forse, non è sotto certi aspetti dissimile da quella di uno studente svogliato dell'antica Roma.
Del resto, se F. Nietzsche perentoriamente asseriva che "la cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo" e che, quindi, l'educatore non può essere l'erudito senza l'anima o il bibliotecario-emendatore che si acceca alle prese con la polvere dei libri e gli errori di stampa, già molti secoli prima Seneca aveva disapprovato un approccio devitalizzante e fuorviante ai classici: "la malattia dei Greci -così scriveva il filosofo di Cordova- fu questa: capire quanti rematori avesse avuto Ulisse, se fu scritta prima l'Iliade o l'Odissea, se fossero dello stesso autore e altre notizie del genere che, se le tieni dentro di te, non giovano a questa tua conoscenza segreta, se le porti fuori, sembri più pedante che dotto" (Sen. de brev. vit. 13,2).
Un altro certamen
Un ennesimo certamen? No, se per certamen si intende la tradizionale prova di traduzione dal latino o dal greco: essa, pur conservando ancora intatta la sua valenza formativa (ove implichi la messa in campo di operazioni di natura culturale e non solo l'applicazione di semplici conoscenze grammaticali), senza dubbio necessita di essere affiancata da procedimenti traduttivi nuovi.
Un esempio chiarirà i nostri intenti.
Quale astratto scrupolo filologico dovrebbe indurre un ragazzo di 17-18 anni, che abbia fatto indigestione di effetti speciali e di trovate spettacolari che abbondano in film come Troy o Druids, alla lettura dell'Iliade di Omero o del De bello gallico di Cesare (fonti antiche che, pur fortemente adulterate, restano presenti alla memoria dei moderni registi)? Probabilmente nessuno. E questo perché l'esorbitante numero di effetti speciali potrebbe risultare già di per sé appagante. Eppure, proprio in una società "liquida" come la nostra, è indispensabile restituire pieno senso a prodotti culturali altrimenti destinati ad essere subìti passivamente. Perché questo accada bisogna, innanzi tutto, prendere coscienza del "prima" (la memoria dei testi classici, ove questi abbiano fatto da modello per nuovi 'rifacimenti' in età successive) e del "dopo" (i testi moderni, autentici 'ipertesti' che si nutrono del confronto e del dialogo, mai spento, con la cultura antica). Occorre distinguere, insomma, i figli e i padri, comprendendo, inoltre, per un verso le ragioni della loro 'somiglianza' e per altro verso i motivi delle dissomiglianze, delle discrasie e delle volontarie prese di distanza dagli antichi auctores. D'altra parte qual è lo scopo della 'filologia' se non, prima di tutto, ricostruire le relazioni genealogiche che legano gli esemplari testuali fra loro, ripristinando un ordine (quello tra il 'prima' e il 'dopo') che, pur deterioratosi nel tempo, dà ragione delle analogie e delle differenze tra i testi?
Vero è anche, del resto, che la società di oggi è ben più complessa di un medievale scriptorium e che i moderni 'palinsesti' poggiano, per ragioni storiche inevitabili, su stratificazioni culturali assai più articolate rispetto a quelle che, oltre dieci secoli fa, potevano determinare la stesura di manoscritti, più o meno inficiati dalla costante pratica degli errori. Si vuole dire, insomma, che oggi potrebbe non bastare la semplice inversione di un fastidioso hysteron proteron, capace persino di falsare e di mistificare, in fase di ricezione, i rapporti tra una 'cultura-madre' (quella antica, ignota ai più) e una 'cultura-figlia' (quella moderna, che, specie in Europa e nell'area mediterranea, molto deve ai classici).
La complessità delle operazioni di decodifica di queste articolate relazioni si deve al fatto che, nel tempo, possono essere intervenuti anche linguaggi diversi (arte, cinema, teatro, musica) a modificare, anche pervasivamente, gli antichi originali: un 'thema', che viene da testi prodotti duemila anni fa, potrebbe, insomma, aver meritato di essere riscritto in vario modo, in varie epoche, spesso assumendo fattezze sensibilmente diverse rispetto all'originale. Chi intenda fruirne nel modo più consapevole possibile dovrà prendere coscienza dei 'testi di partenza' e, di conseguenza, comprendere e apprezzare le eventuali distorsioni che sussistono nei 'testi di arrivo'.
Per queste ragioni, lo speciale 'certamen' che qui si propone vedrà gli studenti confrontarsi con un'esperienza di lettura e di analisi comparata di varie attestazioni di un medesimo tema, provenienti da aree geografiche anche distanti, risalenti ad età lontane tra loro e, in ultimo, affidate a "sostanze espressive" diverse.
L'obiettivo, cui si vuole puntare, è la prospettiva di un nuovo latino, rifondato sulla base di principi che ha ben sintetizzato Giovanni Cipriani , nell'introduzione a un recente volume che costituisce un'importante novità nel vasto panorama di pubblicazioni riguardanti il rapporto dell'antico con il moderno:
"[…] non v'è dubbio, in tal senso, che, per conseguire questo scopo, non sia più sufficiente affiancare all'analisi delle strutture linguistiche contatti soltanto cursori con le civiltà antiche; né l'assimilazione dei contenuti letterari, per quanto essi siano veicolati dall'assidua frequentazione dei testi, basta, da sola, a neutralizzare quell'impressione (sempre più avvertita dagli studenti) di disorganicità delle discipline antichistiche rispetto alla restante parte della programmazione didattica e, in generale, rispetto allo sviluppo globale della storia delle idee e delle culture. Il "nuovo latino", insomma, non necessita solamente di operazioni di contestualizzazione storica, sociale, politica - pur sempre indispensabili -, ma esige, ancor più pervasivamente, che se ne riconoscano le molteplici attestazioni di 'permanenza' e di 'sopravvivenza' nelle culture moderne…, rispondendo all'urgenza, non più procrastinabile, di un complessivo "ripensamento" della canonica institutio e, soprattutto, di un'"osmosi", quanto più possibile integrata, tra ambiti e discipline afferenti a codici diversi (da quello verbale a quello iconografico a quello musicale), ma pur sempre partecipi di feconde e multi-centriche interrelazioni culturali".
Dalla transdisciplinarietà alla traduzione intersemiotica
Le trasformazioni intervenute nel mondo della comunicazione hanno moltiplicato le fonti informative a disposizione degli studenti. La scuola, quindi, si trova a convivere e a competere con molti altri enti educativi, tanto da dover cercare strumenti adeguati per catturare l'attenzione degli studenti e per coinvolgerli in un percorso di apprendimento che susciti interesse e dia risposte tempestive alle esigenze di un'età cruciale nella formazione dell'individuo. La presenza della rete informatica con la ricchezza e la complessità delle conoscenze messe a disposizione di tutti si pone per la scuola sia come modello efficace di pluridisciplinarietà, ma anche come sfida culturale da non rifiutare, nell'ottica di stimolare la ricerca e l'approfondimento di nuove e appropriate metodologie didattiche al fine di migliorare l'insegnamento-apprendimento. [Documento tecnico MPI]
Nella tradizione consolidata della scuola italiana sono state assicurate le interconnessioni tra discipline affini, come dimostra la stessa organizzazione delle classi di concorso (italiano e storia, italiano e latino, matematica e fisica, storia e filosofia etc.); più difficile, invece, è risultata la ricerca di possibili intersezioni tra discipline dell'area umanistica e quelle dell'area scientifica.
D'altra parte resta indispensabile il bisogno dello studente di scoprire quella profonda unitarietà del sapere che non può scaturire né dagli apporti esclusivi delle discipline storico-umanistiche (magari in opposizione alle discipline di matrice naturalistica), né da una giustapposizione di discipline linguistico-letterarie, estetico-espressive, storico-filosofiche, matematiche, fisico-naturalistiche e tecnico-tecnologiche, ma dall'incontro e dal dialogo integrato e armonico di queste diverse prospettive: è l'unitarietà del sapere, infatti, che dà senso ai singoli ambiti disciplinari.
L'obiettivo della 'transdisciplinarietà', del resto, è già scritto nella storia della cultura e soprattutto della cultura europea, forte di un passato millenario che, gravido di memoria, ha sistematicamente affidato la trasmissione di sé a media di varia natura, facendosi veicolare dai linguaggi di cui, di volta in volta, ha potuto giovarsi (il linguaggio verbale -scritto e orale-, quello iconografico, quello musicale). Sta a noi, oggi, specie in quanto operatori della scuola, sollecitare e accompagnare la corretta ricezione, integrata e mai disorganica, di queste varie forme di cultura, soprattutto quando -come nei casi che la nostra Olimpiade vorrà proporre- è riconoscibile l'origine antica di un motivo letterario, di un modello comportamentale o di una fabula, ritenuta paradigmatica e pregna di significato già dagli antichi auctores. Per far questo lo sforzo che verrà richiesto è quello di tracciare, sulla base di testi dati, il percorso di ricezione e fortuna di un 'thema', migrato dalla cultura antica a quella moderna, secondo sostanze espressive diverse: si tratterà, insomma, di analizzare, commentare e "decostruire" alcuni esempi di 'traduzione intersemiotica', ovverosia quei testi che letterati, pittori, scultori e compositori, in un arco di tempo lungo oltre duemila anni, hanno realizzato lasciandosi ispirare da illustri esemplari antichi.
Né la ricezione e la fortuna della cultura antica pare avere confini di sorta. A tale proposito, sarà appena il caso di ricordare una felice immagine di M. Bettini, il quale, a proposito delle attualizzazioni del mito, afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi", abili nell'apparecchiare la persuasione occulta, o nel violare, con uno slogan marchiato su magliette, la massima pindarica "possa tu diventare quello che sei"; in realtà un ottimo grido, e insieme una pregnante dichiarazione di umanesimo per una campagna anticonsumistica, può costituire l'osservazione periclea alla vigilia della guerra del Peloponneso: "non sono le cose che acquistano gli uomini, ma gli uomini le cose" (Tucidide), perché un conflitto che pure segna la ripresa economica non può esimere dal piangere la perdita di vite umane.
Il mito e l'identità mediterranea
La scelta dell'argomento, sul quale verteranno i testi sottoposti all'attenzione dei partecipanti, è caduta su "Quando gli dèi amano", una questione giudicata nodale per i contenuti disciplinari già assimilati dagli studenti, oltre che pregnante, in generale, per l'inquadramento delle civiltà antiche in rapporto alle culture moderne.
In questo senso si è ritenuto strategico e proficuo il ricorso al 'discorso mitico', un'opzione ritenuta non solo valida sotto il profilo del suo autentico portato culturale, ma anche accattivante e, dunque, fortemente motivante, per il fatto di soddisfare l'"innata" domanda di 'plot', cioè quella naturale propensione alle fabulae che da sempre ci contraddistingue. Il mito, insieme con l'esperienza simbolica di cui esso è latore, va inteso, per prima cosa, come 'modello cognitivo', di cui gli antichi (e non solo) si servirono per veicolare "verità originarie", per normalizzare l'apparato di credenze, per definire e per scandire forme rituali, per codificare giusti o ingiusti modelli di comportamento. In seconda battuta le opportunità didattiche offerte dal mito stanno nella sua inesausta 'virtualità' cioè nella persistente modificabilità diacronica e sincronica di una medesima fabula: il mito, insomma, come terreno privilegiato di 'intertestualità'e di 'multimedialità', si offre a esperienze di contatto e di confronto tra diverse culture e diversi linguaggi: esso, come 'strumento di tradizione' perpetuatosi nei secoli attraverso l'immaginario dei popoli senza mai prescindere dal nesso con le civiltà antiche, è un organismo per sua stessa definizione dinamico e deputato a vivere non nel presente, ma nel tempo futuro.
Qui stanno le ragioni per le quali il discorso mitico bene si presta ad operazioni di analisi, che abbiano per oggetto non soltanto testi contraddistinti da un'omologa "sostanza espressiva" (ad es. testi letterari legati dal medesimo argomento mitico), ma anche testi che, condividendo lo stesso argomento, si siano avvalsi di linguaggi difformi tra loro: proprio quest'ultimo caso -come si è detto- rientra negli scopi che intendiamo porci, offrendo esso sia fruttuose occasioni di arricchimento transdisciplinare, sia opportunità di approfondimento dei meccanismi regolativi della cosiddetta 'traduzione intersemiotica'.
Quanto poi alle ragioni storico-culturali di questa operazione, si dirà, in definitiva, che l'obiettivo ultimo dell'Olimpiade e delle attività didattiche che la precederanno (vedi sotto) sta nel recupero di quella memoria storica e di quell'identità culturale, che, nelle forme più varie, hanno contraddistinto nei secoli e ancora contraddistinguono la facies comune dei popoli dell'area mediterranea, di cui la Puglia stessa non può che sentirsi espressione quanto mai partecipe.
Qui sono anche i motivi della scelta di "ambientare" questo speciale 'certamen' a Bitonto, terra degli ulivi (nota, infatti, per il ricco sviluppo del comparto oleario) e, "per espansione", luogo evocativo del complessa congerie di valori culturali sui quali si fonda l'identità mediterranea: nell'ulivo, pianta antica e pianta di pace, è il simbolo -scelto per questa moderna Olimpiade- dell'ininterrotto dialogo con il mondo classico e dell'incessante processo di "rigenerazione" subìto dai testi e dall'immaginario degli antichi; nell'ulivo è la prospettiva -che ispira la nostra proposta- di rinsaldare i nodi che avvincono, da sempre, le culture moderne e quelle del nostro lontanissimo passato.
Informazioni tecniche
Sono due le macro-fasi nelle quali si articolerà la realizzazione dell'Olimpiade Nazionale di Traduzione intersemiotica dal Latino.
In una prima fase, il Liceo classico "C. Sylos" di Bitonto-Terlizzi, in collaborazione con l'Università degli Studi di Foggia, organizzerà un corso di formazione, gratuito e facoltativo, tenuto dal Prof. Giovanni Cipriani, docente di Lingua e Letteratura Latina presso la facoltà di Lettere dell'Università degli Studi di Foggia. Durante tale corso, previsto nei mesi di aprile-marzo e reso accessibile anche a mezzo di apparecchiature specifiche per le videoconferenze e/o di supporti multimediali, saranno presentate simulazioni didattiche, volte a preparare gli studenti alla prova che verrà sottoposta durante l'Olimpiade.
A questa prima fase farà seguito l'Olimpiade (che avrà luogo nell'Aula Magna del Liceo Classico "C. Sylos" di Bitonto, il giorno 30 Aprile 2007), cui prenderanno parte gli alunni dell'ultim classe dei Licei Classici che abbiano conseguito la votazione di almeno 8/10 in Latino, Italiano e Storia dell'Arte negli scrutini dell' a.s. 2005/2006. Sarà chiesto agli studenti di analizzare e commentare, in modo comparato, alcuni testi, appartenenti a generi e a linguaggi diversi (la parola poetica e non; la pittura e le arti figurative in genere; la musica e specialmente il libretto per opera lirica), tutti inscrivibili nell'alveo di uno stesso tema (Quando gli dèi amano).
La cerimonia di premiazione si svolgerà il 26 maggio 2007 nel Teatro comunale "Tommaso Traetta" di Bitonto.
Per ulteriori informazioni si rimanda al bando di concorso allegato.
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