LO STATUTO DELLE STUDENTESSE E DEGLI STUDENTI

Lo Statuto dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 249/1998) ha costituito senza dubbio una delle innovazioni più significative di questi anni e, nello stesso tempo, una delle innovazioni più controverse.

Alcune ragioni di questa difficoltà si sono intraviste fin dall'inizio, fin dalla fase di discussione ed elaborazione del testo. Certo, di fronte all'incalzante movimento degli studenti, nessuno ha eretto barricate contro una rivendicazione che veniva riproposta puntualmente e pervicacemente. Ma è fuori di dubbio che il mondo dei docenti ha vissuto con non poche difficoltà l'impresa che il Ministro Berlinguer volle tenacemente portare a termine.

Non credo che le ragioni di tanta palpabile diffidenza fossero nel rischio, per la verità inesistente, di sottrazioni di potere. In realtà lo Statuto, nel prefigurare con una operazione giuridicamente persino ardita un diritto soggettivo dello studente a prestazioni di qualità, un quadro di regole vincolanti per tutti, un'idea di scuola come ambiente di relazioni significative, parlava indirettamente del limite ormai insostenibile di un'idea della professionalità docente tutta individualistica, di una troppo debole e vaga idea di organizzazione del lavoro, di "doveri" degli insegnanti.

Insomma lo Statuto era e resta una delle tessere importanti di quel mosaico di scuola dell'autonomia che in questi anni ha preso forma non senza contraddizioni, limiti e un buon carico di retaggio della vecchia scuola.

Tutto ciò ha pesato fin dall'atto di nascita dello Statuto, senza tuttavia comprometterne la carica indubbiamente innovativa. Del resto quanto più la scuola praticherà l'autonomia eliminando man mano il formalismo delle procedure, la direttività della sua comunicazione interna, le rigide barriere che ancora la dividono all'interno e la separano dall'esterno, tanto più il bisogno di un quadro forte di regole si imporrà. Ed è inevitabile che al centro di queste regole ci siano gli studenti, i soggetti del diritto all'apprendimento che sono poi la ragione ultima dell'esistenza stessa della scuola.

Ma appunto proprio su questo versante le resistenze hanno inciso sul testo. L'esempio più clamoroso è proprio in quell'Organo di Garanzia che ha finito paradossalmente per essere, proprio nella scuola autonoma che supera il mito delle procedure, un garante del rispetto delle procedure. Con l'aggravante, tutta spiegabile nel delicato equilibrio di poteri oggi segnato da una amministrazione centrale e periferica ancora ferma al vecchio ordinamento e alle vecchie logiche, di svolgere un compito di "parere vincolante" al Provveditore agli Studi competente sulle eventuali infrazioni allo Statuto nei regolamenti di scuola.

Quanto poco o nulla possa risultare utile un simile organismo nelle nuove dinamiche aperte dalla stessa innovazione, è dimostrato dal limitato numero di Organi di Garanzia istituiti dalle amministrazioni scolastiche e dal numero , pressocchè inesistente, di controversie esaminate dai pochi Organi costituiti.

La scuola insomma non aveva bisogno di un altro organo burocratico; aveva bisogno semmai di un luogo istituzionale in cui ricomporre gli inevitabili conflitti che segnano un ambiente che evolve verso relazioni sempre più complesse.. In tal senso lo Statuto avrebbe dovuto prefigurare Organi capaci di sviluppare nelle scuole la risposta più civile ed avanzata che si può dare a un conflitto che emerge. Una risposta sul terreno della mediazione del conflitto, non della sua riduzione a questione procedurale. Del resto, non è affatto sorprendente che in una società democratica i conflitti siano destinati ad aumentare; la partecipazione, quando non è una dimensione retorica delle organizzazioni, apre continuamente dinamiche e conflitti che possono insieme concorrere a far crescere l'ambiente in cui si sviluppano. E' ciò è tanto più vero in un ambiente relazionale in cui tra i soggetti principali, studenti e docenti, è nettissima e fisiologica un'evidente asimmetria che nessuna demagogia farebbe bene a dissimulare salvo produrre danni irreparabili.

A distanza oramai di qualche anno, appare tuttavia evidente che scarsa è la consapevolezza della centralità evocata dallo Statuto della comunicazione docente-studente. Una comunicazione delicatissima che deve essere finalizzata al miglior esito formativo possibile, nel pieno rispetto dell'autonomia dello studente. Da qui avrebbe potuto prendere le mosse una prima riflessione sulla necessità di uno statuto deontologico della professione docente fondata sulla responsabilità e sulle competenze. La responsabilità intesa come collettiva consapevolezza delle conseguenze che le scelte dei docenti comportano sulla vita dei ragazzi; le competenze intese come gli "attrezzi di lavoro" che il docente deve affinare e migliorare permanentemente per il miglior esito delle proprie prestazioni. Il silenzio generale su questi temi ci conferma che la comunicazione docente-studente vive ancora sospesa in una dimensione di incertezza e precarietà.

Lo Statuto nasce e ha senso proprio perché parte da questo dato di fondo, affermando che questa asimmetria non può divenire il terreno dell'arbitrio e del sopruso ma va appunto regolata con diritti e doveri .

E la cultura di riferimento non può essere quella sindacale o formalistica; non la seconda perché inutile nella scuola dell'autonomia, non la prima perché riguarda nello specifico le relazioni dei docenti in quanto lavoratori dotati di un proprio statuto contrattuale regolatore delle relazioni con i dirigenti scolastici e i vari livelli dell'amministrazione.

La cultura di riferimento è altra. E' quella che già in Europa da anni si misura sul terreno dei conflitti tra le persone in tanti e diversi ambiti, compreso quello scolastico. E' la cultura della mediazione, finalizzata non a dare torto o ragione a uno o all'altro dei soggetti in conflitto, ma ad aiutare i contendenti a trovare ragionevoli soluzioni ai conflitti senza ledere i diritti di alcuno, soprattutto i diritti dei più deboli. Questo ruolo non viene svolto da dirigenti pubblici, che sono parte in causa in questi conflitti, ma da soggetti "terzi", adeguatamente formati a governare i difficili processi di relazione tra le persone e legittimati a svolgere questa delicata funzione di equilibrio e sviluppo delle relazioni positive.

Se si rilegge alla luce di queste considerazioni l'Organo di Garanzia previsto dallo Statuto, se ne misura facilmente tutta la sua debolezza e le ragioni della sua fin troppo prevedibile crisi.

E forse si comprende meglio perché lo Statuto, a più di due anni dalla sua nascita, rappresenti ancora in larga parte una innovazione sospesa, un processo fin troppo debole. E' decisamente attendibile quanto denunciato dai ragazzi dell'Unione degli Studenti in questa ripresa di inizio d'anno a proposito dell'esiguo numero di scuole in cui lo Statuto è stato oggetto non solo di diffusione ma anche di una qualche elaborazione complessiva. Il problema non è evidentemente solo tecnico ed è destinato a non essere risolto soltanto con un 'utile campagna pubblicitaria.. Se lo Statuto fatica in modo così rilevante a far parte della vita di relazione della scuola, vuol dire che siamo ancora molto distanti dalla cultura che proprio l'autonomia dovrebbe alimentare. Del resto i riscontri sono inequivocabili anche da altri versanti.

Senza quasi accorgersene, tutta la comunicazione intorno al Pof, ruota insistentemente e quasi esclusivamente sul ruolo dei docenti. Come poi sia possibile elaborare un Pof sulla base di una lettura dei fabbisogni formativi senza coinvolgere attivamente gli studenti dentro questo processo, è un mistero che si spiega solo con la tradizione della scuola. Una tradizione appunto "docentocentrica" che fa fatica ad assumere gli studenti come "soggetti" del processo formativo, così come troppo facilmente assume acriticamente come "clienti" i genitori.

Siamo con questo al cuore dell'autonomia e dei suoi nodi irrisolti. Debolezze, limiti e contraddizioni non sono tuttavia ragioni sufficienti per demordere dall'obiettivo. In buona parte essi erano prevedibili e sono destinati a segnare questa fase di difficile transizione. Quel che conta, in questo contesto, è la chiarezza e la intenzionalità delle azioni che vanno poste a supporto del processo.

Del resto la scuola gioca su questo versante la partita più importante.

L'autonomia non è un'invenzione ministeriale; è un processo che si è sviluppato e continua ad evolvere nel pieno della società civile, nel mondo in tumultuoso cambiamento dei processi sociali e delle forme del lavoro.

Senza l'autonomia la scuola sarebbe oggi inerme spettatrice dei processi che investono la riforma federalista dello Stato; sarebbe ormai anacronistica sopravvivenza del passato in una società che reclama giustamente servizi di qualità più vicini ai cittadini e come tali leggibili, trasparenti, partecipati, valutabili.

Dario Missaglia
Presidente dell'Organo di garanzia di Roma