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Cultura, scuola, persona: verso le indicazioni nazionali
per la scuola d’infanzia e per il primo ciclo di istruzione
Discorso del ministro della Pubblica Istruzione
Giuseppe Fioroni
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Roma, 3 aprile 2007 |
- E’ importante chiarire il metodo che intendiamo seguire. Oggi non si presenteranno le nuove indicazioni nazionali, ma la cornice culturale entro cui rileggerle e ripensare all’esperienza del fare scuola. Il seminario di oggi non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per far nascere una discussione approfondita all’interno del mondo della scuola. Dare senso alla frammentazione del sapere: questa è la sfida. Una scuola che intende educare istruendo non può ridurre tutto il percorso della conoscenza alla semplice acquisizione di competenze. Compito della scuola è educare istruendo le nuove generazioni, e questo è impossibile senza accettare la sfida della trasmissione di un senso dentro la trasmissione delle competenze.
- La prima domanda che dobbiamo porci riguarda “chi educhiamo”. Se c’è un punto su cui non possiamo non trovarci d’accordo è che il nostro compito è quello di educare “la persona”. Un essere unico ed irripetibile. Ogni bambino, ogni ragazzo ha la necessità di essere educato, nel senso etimologico del termine, che deriva dal latino e-ducere, tirar fuori: ha bisogno di essere aiutato a scoprire il valore di se stesso, delle cose e della realtà. Questa persona unica ed irripetibile può essere educata a conoscere, accettare, tirar fuori e costruire sé, solo entrando in rapporto con la realtà che la circonda. E la realtà è fatta di persone, di fatti, di eventi, del presente e del passato, di cui il presente è figlio. L’arte, la storia, la letteratura, le scienze, non sono che strade tracciate da uomini per capire, scoprire, conoscere questa realtà: per questo possono essere interessanti, (inter- esse), aiutare a scoprire sé. Questa persona unica ed irripetibile, poi, non vive da sola, ha bisogno di essere educata anche a conoscere ed apprezzare gli altri.
- La difficoltà di questo percorso è data dal disagio che molti giovani vivono: le paure, le incertezze, la solitudine, l’idea di una vita vuota e senza senso sono il sottofondo di quel malessere diffuso, che è anche espressione di un eccesso di avere e di una carenza di essere. Quell’essere che è ciò che siamo in connessione e continuità con le cose in cui crediamo, con i valori che riteniamo fondanti. Una ragazza di 16 anni, suicidatasi a Roma anni fa, aveva lasciato questo biglietto: “Ho avuto tutto nella vita, il necessario e il superfluo ma non l’indispensabile”. La scuola deve essere in prima linea nella battaglia contro questo vuoto: deve essere un luogo dove si riconosce significato a ciò che si fa e dov’è possibile la trasmissione di quei valori che corrispondono al cuore perché danno appartenenza, identità, passione. Primo fra tutti il rispetto di sé e degli altri, che nasce dalla consapevolezza che esiste un valore intangibile che è la dignità di tutti e di ciascuno. Nessuno escluso. Questo chiede alla scuola un surplus: educare istruendo è un’aggiunta di responsabilità dell’adulto persona docente come dell’adulto persona genitore che si declina nell’essere maestri di vita, testimoni di ciò che si trasmette. Il primo rispetto della cultura della legalità è quello di incarnare ciò che trasmettiamo, di dimostrare che a fare il bene corrisponde un premio e che a fare il male corrisponde una punizione.
- La scuola è un luogo di incontro e di crescita di persone. Persone sono gli insegnanti e persone sono gli allievi. Educare istruendo significa essenzialmente tre cose:
- consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato perché non vada disperso e possa essere messo a frutto
- preparare al futuro introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere protagonisti all’interno del contesto economico e sociale in cui vivono
- accompagnare il percorso di formazione personale che uno studente compie mentre frequenta la scuola, sostenendo la sua ricerca di senso e il faticoso processo di costruzione della propria personalità.
Questa è la via italiana all’Europa e all’acquisizione delle competenze indicate a Lisbona. Nell’“e-ducere”, nel tirar fuori ciò che si è e nella relazione con gli altri, si impara ad apprendere. Obiettivo della scuola è quello di far nascere “il tarlo” della curiosità, lo stupore della conoscenza, la voglia di declinare il sapere con la fantasia, la creatività, l’ingegno, la pluralità delle applicazioni delle proprie capacità, abilità e competenze. Tradotto in termini semplici: mi ostino a pensare a una scuola che non abbia come obiettivo solo l’essere in funzione della richiesta del mercato. Solo se non si rinuncia ad educare istruendo si può mettere veramente a frutto l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo individuo. Solo così ogni persona può essere protagonista e costruire il proprio futuro in modi plurali, diversi ed innovativi. Per raggiungere questi obiettivi resta centrale l’acquisizione della cultura scientifica così come la valorizzazione dell’istruzione tecnica e professionale, campi nei quali il nostro Paese ha costruito le fondamenta del proprio sviluppo.
- Il preside di un liceo americano sopravvissuto alla Shoah scriveva ogni anno ai suoi insegnanti:
“Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere:
camere a gas costruite da ingegneri istruiti;
bambini uccisi con veleni da medici ben formati;
lattanti uccisi da infermiere provette;
donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università.
Diffido- quindi- dell’educazione.
La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti.
La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani”.
La nostra scuola deve essere un luogo in cui nelle diversità e nelle differenze si condivide l’unico obiettivo che è la crescita della persona. Solo così si capisce che cosa significa una scuola capace di consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato, di accompagnare il bambino ed il ragazzo nella scoperta del senso, e di promuovere la capacità di innovare e di costruire il futuro che ogni singola persona ha. Io mi ostino a non accettare una scuola che persegue soltanto l’utilità del momento storico e dell’attimo fuggente, rinunciando ad aiutare lo studente ad essere ciò che è e a costruire nei diversi contesti.
- Occorre sottolineare con forza, nella scuola, la centralità della persona-studente. Farlo significa realizzare una rete di azioni integrate atte a valorizzare lo stile cognitivo unico ed irripetibile proprio di quello specifico studente, uscendo da ogni genericità e standardizzazione. Educare istruendo significa incrociare lo stile cognitivo del bambino o del ragazzo. Non è pensabile una scuola costruita su di un modello unico di studente astratto. La scuola dell’autonomia è una scuola che concentra la propria proposta formativa ed il percorso curriculare nell’attenzione a quell’essere unico ed irripetibile che si ha in classe. Non c’è un “drop out” generico, c’è il drop out della rinuncia, dell’inadeguatezza e dell’abbandono. Non c’è nessuna sindrome di burn out nell’insegnante che non sia figlia del difficile incrocio fra ciò che dovremmo saper essere e saper fare e la straordinaria complessità che richiede l’educare istruendo proprio quella persona lì che, nella propria unicità, dà la misura della complessità dell’intrapresa e dell’ineludibilità del limite del nostro operare.
Questa è la sfida. E’ questo il rischio educativo che gli insegnanti assumono sulla propria professionalità.
- Oltre alle risorse economiche necessarie ed indispensabili esistono altre risorse fondamentali, che consistono nella condivisione del progetto educativo da parte della famiglia e della società. Ci sono oggi famiglie in crisi, famiglie che più sono in difficoltà, più chiedono e pretendono dalla scuola. Occorre che il patto tra la scuola e la famiglia diventi l’elemento portante della cornice culturale che ho appena delineato. Non c’è possibilità che la scuola realizzi il proprio compito di educare istruendo senza la condivisione della famiglia. Cercare di educare-istruendo in opposizione o nell’indifferenza della famiglia depotenzia il lavoro che si fa a scuola, genera drop out tra i ragazzi e disagio, burn out, tra gli insegnanti.
La scuola siamo noi, nelle buone pratiche, nel lavoro quotidiano. Non vogliamo concederci facili assoluzioni, ci assumiamo la responsabilità del dover essere migliori, dell’andare oltre i nostri limiti, del rispondere al compito che ci è affidato. Questo capitale umano di docenti e studenti, questa multiforme pluralità di persone, uomini e donne può accettare questa scommessa e può dare al Paese il motore che tutto muove e tutto genera. Resta a noi saper coltivare questa passione, questa voglia di esserci e di mettersi in gioco: vogliamo assumerci la responsabilità di costruire il futuro.
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aggiornato: 02/03/2010
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