Intervento del Ministro dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca Letizia Moratti
Istruzione e formazione
nel processo di integrazione europea
CNEL - Roma, 3 luglio 2003
L'istruzione e la formazione sono oggi al centro dei processi di crescita, modernizzazione ed integrazione delle società democratiche evolute. In Europa stiamo lavorando ad un grande progetto educativo e formativo - progetto che il "vertice" europeo di Lisbona del 2000 ha posto al centro delle politiche nazionali - capace di ispirare, per il futuro, un ampio disegno di sviluppo economico, di innovazione e di coesione sociale.
Se avremo successo, l'Europa diverrà alla fine di questo decennio la società fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo e sarà in grado di realizzare una crescita sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e con minori rischi per tutti di esclusione e marginalizzazione sociale.
Negli ultimi tempi la cooperazione europea in questo campo ha acquistato slancio, con la definizione di un programma dettagliato di lavoro sugli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione e con l'orientamento verso una strategia per la realizzazione di un modello di educazione lungo tutto l'arco della vita.
I primi risultati di questo sforzo sono già visibili.
Si sta, ad esempio, chiaramente affermando una visione al tempo stesso "sociale" ed "economica" del processo educativo e formativo - una visione organica, unitaria e integrata dell'istruzione e della formazione - come prospettiva strategica ormai accettata da tutti gli Stati membri dell'Unione.
Inoltre, la prospettiva di una crescente centralità dell'istruzione nelle politiche sociali del Paese e quella di una diversa distribuzione dei percorsi educativi e formativi - tra istruzione formale, istruzione non formale e istruzione informale - rispetto a come essi vengono oggi riconosciuti, organizzati e certificati, sta contribuendo a definire con grande chiarezza alcuni obiettivi politici.
Ne cito due, tra i tanti: assicurare condizioni di pari opportunità per garantire a tutti la possibilità di raggiungere i livelli di istruzione più elevati e favorire la nascita di un sistema di "lifelong learning" che aggiorni le competenze, sostenga le nuove specializzazioni e divenga strumento di piena occupabilità della popolazione adulta.
Ma molto resta ancora da fare.
Il patrimonio delle conoscenze, delle capacità e delle competenze individuali rilevanti per l'attività economica, lo sviluppo e la stabilità sociale - ciò che comunemente chiamiamo Capitale Umano - è in Europa ancora troppo basso.
Basti dire che ad oggi il valore del Capitale Umano pro-capite dell'Unione Europea - valore calcolato attualizzando i redditi che ogni cittadino europeo sarà in grado di produrre nel corso della propria vita lavorativa - è stimato in circa 250 mila euro, contro i circa 500 mila euro degli Stati Uniti.
Le cause di questo gap sono da ricercarsi principalmente in quattro fattori:
- il minor tasso di occupazione (rapporto tra occupati e popolazione attiva), che in Europa è del 61% rispetto al 74% degli Stati Uniti;
- il minore livello delle retribuzioni (in media inferiore di circa il 50%), che riflette un tessuto di imprese a minor valore aggiunto, vale a dire con minore innovazione, ricerca e contenuti tecnologicamente elevati delle produzioni, e un più basso riconoscimento della qualificazione dei lavoratori;
- il minor grado di istruzione scolastica, misurato dalla distribuzione della forza lavoro per titolo di studio (ad esempio, 20% degli occupati europei con educazione terziaria rispetto al 39% negli Stati Uniti);
- la minore durata della vita lavorativa (in media circa un anno e mezzo), a causa del ritardato ingresso dei giovani europei nel ciclo del lavoro e nella più bassa età del pensionamento per gli adulti.
D'altro canto, l'Europa è meglio posizionata degli Stati Uniti in termini di coesione sociale e cittadinanza attiva, come rivelano alcuni indicatori sociali:
- una maggiore partecipazione alla vita politica;
- una quota minore di cittadini che vivono in condizioni di povertà relativa;
- meno criminalità;
- un minor tasso di mortalità infantile;
- migliori condizioni di equilibrio ambientale.
E' in questo scenario di luci ed ombre che il nuovo progetto educativo e formativo europeo sta ora prendendo forma. La Presidenza dell'Unione Europa che abbiamo assunto per il secondo semestre dell'anno rappresenterà, io credo, un passaggio cruciale per il rafforzamento e il successo di quel progetto.
Ci apprestiamo a svolgere un ruolo di guida del dibattito in corso in Europa incoraggiati dall'imminente avvio della nostra Riforma scolastica, il cui impianto è interamente ispirato alla visione dello "spazio educativo e formativo europeo" oggi in formazione.
Anche per l'Italia l'istruzione permanente e un più stretto rapporto tra istruzione e formazione diventano i due paradigmi sui quali rifondare il sistema educativo.
E più in generale, le novità che con la Riforma vengono introdotte sul piano organizzativo - mi riferisco all'alternanza scuola-lavoro e alla creazione del doppio canale di istruzione e formazione - e le novità didattiche che stiamo già avviando fra le quali l'apprendimento dell'inglese fin dalle prime classi della scuola elementare e l'insegnamento dell'informatica - sono assolutamente in linea con quegli obiettivi e con quella visione europea.
L'Italia è oggi unanimemente considerata tra i più convinti e credibili partners impegnati oggi a dare una reale "dimensione europea" alla proprie politiche educative e formative.
Dobbiamo, tuttavia, prendere atto che affrontare questa sfida richiede oggi all'Italia ed ai suoi partners europei l'impegno per una profonda riconsiderazione delle politiche nazionali e per una rimodulazione dei metodi della cooperazione a livello comunitario.
Infatti, mentre da un lato occorre porre istruzione e formazione al centro delle politiche di sviluppo economico e di coesione sociale, dall'altro lato bisogna riflettere sulla necessità di una maggiore complementarietà ed integrazione tra le politiche educative e le politiche sociali, per il lavoro e per la ricerca.
La rapida evoluzione del quadro socio-demografico ed economico, soprattutto alla luce dell'allargamento dell'Unione Europea, pone infatti problemi nuovi ai quali sarà possibile dare risposta soltanto con strumenti nuovi di intervento.
Mi riferisco agli obiettivi stabiliti in occasione del vertice di Lisbona nel marzo 2000 e che in certa misura non appaiono oggi più perseguibili con gli stessi strumenti.
Si concordò allora di operare per un progressivo aumento della spesa pro-capite in istruzione e formazione nell'aspettativa di un lungo ciclo di crescita economica e, conseguentemente, di minori vincoli di finanza pubblica.
Oggi quella prospettiva appare seriamente messa in discussione dal mutare dei fattori macro-economici.
Dal 2000 l'investimento pro-capite in istruzione e formazione è rimasto in Europa, e anche in Italia, sostanzialmente stabile - anche se ciò è stato dovuto in gran parte alla debole dinamica demografica - mentre il rapporto tra spesa per l'istruzione nei bilanci pubblici e Prodotto Interno Lordo è andato riducendosi, tavolta in misura significativa.
Appare chiaro, dunque, che la sfida alla quale stiamo di fronte deve essere affrontata con un approccio più qualitativo e non soltanto quantitativo.
Gli attori protagonisti del mondo dell'educazione stanno cambiando (con l'affacciarsi dell'impegno privato anche in questo settore); le necessità e le opportunità poste dalla "società della conoscenza" appaiono oggi diverse rispetto a qualche anno fa; le nuove politiche del lavoro e del welfare in via di attuazione richiedono di adottare una visione trasversale dei bisogni dei cittadini, dall'età dello studio a quella della pensione.
Tutto ciò pone almeno due ordini di problemi:
1. Adottare strategie e misure per qualificare gli interventi finanziari nel campo dell'istruzione e della formazione, come spese di investimento - che, come tali, potrebbero essere oggetto di una più flessibile interpretazione del Patto di Stabilità - di cui occorrerà misurare sempre più attentamente l'efficacia, l'efficienza ed il ritorno economico e sociale atteso;
2. Adottare un approccio innovativo all'analisi dei bisogni di istruzione e formazione che consideri il punto di vista della domanda e non esclusivamente quello dell'offerta formativa disponibile, in modo da individuare i segmenti di popolazione per i quali emerge in modo più evidente il divario rispetto all'attuale contributo che essi danno allo sviluppo economico ed alla stabilità sociale di un paese.
L'adozione di questa duplice visione permetterebbe di adottare misure "mirate" sui reali bisogni dei cittadini europei, focalizzando gli interventi, incrementando l'efficacia degli investimenti nell'istruzione e nella formazione, garantendo una loro più trasparente valutazione.
Se, per esempio, pensiamo allo sviluppo che avrà il sistema di educazione permanente oggi in embrione in tutti i paesi dell'Unione, è facile rendersi conto della complessità dei problemi che siamo chiamati ad affrontare.
Quanto costerà, in termini di finanza pubblica e di capitale privato, sostenere in futuro un modello ben funzionante di lifelong learning che fa 20 o 30 anni coinvolgerà decine di milioni di cittadini europei ? Chi potrà sostenere questi investimenti ? Quali forme di partnership pubblico-privato potranno essere realizzate? Quali tassi di ritorno su questi investimenti occorrerà generare? Esiste una potenziale contraddizione tra l'obiettivo (Lisbona) di un aumento costante delle risorse complessive impegnate nei sistemi educativi e l'obiettivo che ora si pone di un più efficiente utilizzo di queste risorse?
Per cercare di dare risposte a questi interrogativi che riguardano politiche mirate in aree in cui sia più probabile ottenere qualità ed efficienza, l'incoraggiamento della partecipazione dei privati al finanziamento dei sistemi educativi e la misurazione dei risultati che sapremo conseguire, l'Italia si appresta, nel corso del semestre di Presidenza dell'Unione Europea, a proporre un cambiamento di rotta.
Ripeto: gli obiettivi che ci stiamo dando possono essere conseguiti soltanto attraverso un approccio che sia quanto più possibile legato agli effettivi bisogni degli individui, in particolare alla ,loro domanda di apprendimento finalizzata ad una maggiore occupabilità e ad una maggiore partecipazione alla vita sociale.
Nel corso degli incontri bilaterali che ho avuto in queste settimane con tutti i ministri dell'istruzione dell'Unione Europea ho potuto constatare reazioni positive e convinte alla nostra proposta.
Il rischio di non intraprendere questa strada nuova, quando siamo giunti quasi a metà del decennio iniziato con la solenne dichiarazione di Lisbona, è quello di fallire quegli obiettivi.
L'analisi che abbiamo condotto in questi mesi sui 25 paesi dell'Unione Europea "allargata" e il confronto con gli Stati Uniti ha, infatti, evidenziato profonde differenze tra i "clusters" in termini di livello educativo, posizionamento nel mercato del lavoro, partecipazione sociale.
Colpisce, in particolar modo, la gravità del rischio che corrono i giovani adulti europei con bassa scolarità, non occupati o occupati in attività a limitato valore aggiunto che rappresentano, è vero, un piccola parte (3%) della popolazione attiva, ma che sono destinati a subire una drammatica esclusione dal mercato del lavoro ed un'altrettanto drammatica emarginazione sociale.
Colpisce ancor di più il rischio che grava sugli europei oltre i 45 anni - un quinto della popolazione europea - che, con un livello educativo medio-basso, sono sostanzialmente senza occupazione; come la posizione di grave pericolo nella quale si trovano oggi anche gli adulti con un'educazione medio-alta (ben l'11% degli europei, per il 70% donne) che comunque non trovano lavoro, o addirittura non lo cercano, contribuendo poco o nulla al valore del capitale umano.
Ed infine i "lavoratori a rischio" (21% della popolazione europea) che, distribuiti uniformemente su tutte le fasce di età, sono minacciati dalla rapida obsolescenza delle loro competenze professionali e che, più di altri, avrebbero bisogno di accedere ad un sistema di educazione e aggiornamento permanente nel corso della loro vita attiva.
Verso questi segmenti di popolazione dovranno essere riorentate le politiche educative e formative.
Forti di questo convincimento, ci apprestiamo a lanciare una serie di importanti iniziative politiche:
1. Misure che puntino a combattere il crescente fenomeno della dispersione scolastica che rappresenta, in rapporto agli obiettivi posti dalla "Strategia di Lisbona", uno dei punti critici poiché gli abbandoni in così grande numero da parte di aree sempre più rilevanti di giovani contraddicono palesemente l'impegno comune verso un'economia fondata sulla conoscenza;
2. Misure che favoriscano una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione post-secondaria, non accademica, con programmi e progetti mirati al riconoscimento di crediti e qualifiche professionali per una più facile individuazione delle figure professionali richieste dal mercato del lavoro;
3. Misure (indicatori, benchmarking di settore, obiettivi transnazionali) che rispondano all'esigenza di una comune azione nel settore dell'ITC per l'istruzione e la formazione, sia in termini di standard tecnologici sia in termini di interventi per la formazione degli insegnanti;
4. Misure che incoraggino l'adozione di metodologie e strumenti per acquisire e aggiornare le competenze di base, comprese quelle relative alle tecnologie dell'informazione, alle lingue straniere, alla cultura tecnologica, all'imprenditorialità, attuando una reale comparabilità e trasferibilità degli apprendimenti in base a standard "minimi" accettabili nei vari contesti educativi e territoriali;
5. Misure che favoriscano l'adozione di indicatori di qualità dei sistemi di istruzione e formazione;
6. Misure che migliorino il grado di internazionalizzazione dei sistemi educativi e formativi nazionali, stimolando la cooperazione tra i sistemi di istruzione superiore, sostenendo la cooperazione con i paesi terzi, incoraggiando il processo di autovalutazione delle istituzioni di istruzione superiore, favorendo la mobilità di docenti e studenti, la trasferibilità dei crediti ed il riconoscimento dei titoli.
La nostra agenda, come si può ben vedere, è ricca di impegni severi e di proposte ambiziose.
Il metodo di lavoro che intendiamo perseguire è quello di un approccio integrato attraverso l'interazione di progetti e risorse all'interno ed all'esterno del sistema dell'istruzione formale. Il mondo della scuola e dell'università resta la sede naturale di riferimento per ridare slancio al processo di crescita ed integrazione delle società europee, ma non ha pretese di esclusività. Deve anzi aprirsi alla collaborazione con altri settori delle politiche sociali ed economiche.
Questo mi sembra oggi il senso profondo del cambiamento al quale ci prepariamo. Una grande sfida strategica per ottenere risultati pratici, concreti, verificabili. Una visione "alta" improntata ad un forte pragmatismo.