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DISCORSO DEL MINISTRO
pronunciato nel corso della visita in Sardegna
16 ottobre 2001


Il nostro incontro di oggi é un'occasione propizia per un confronto sui grandi cambiamenti in corso nel mondo dell'istruzione, della cultura e del sapere. A questi cambiamenti, che traggono origine da fenomeni evidenti da lungo tempo in Italia e in molti altri paesi, si ispira la nostra visione programmatica di un sistema unitario dell'istruzione e della formazione, orientato ad una finalità pubblica, che integri risorse statali e private, sostenuto quindi dallo Stato e dalle forze produttive del Paese, impegnato a garantire una pluralità di offerte didattiche ed un diritto allo studio fondato non soltanto sulla norma legislativa quanto sulla reale libertà di scelta e di accesso alla scuola per gli studenti e le loro famiglie.

La portata dei cambiamenti e una lunga stagione di riforme non ancora concluse, e in taluni casi appena avviate, crea una situazione di profonda incertezza negli insegnanti, nelle famiglie e nei ragazzi. Siamo perciò impegnati in un attento approfondimento delle molte questioni aperte che deve tranquillizzare tutti, sebbene le scadenze di impegni da assumere e gli obiettivi da perseguire siano numerosi e pressanti.

Riflettere su questi cambiamenti in terra di Sardegna, dove più profondi e radicati sono i valori dell'autonomia in uno Stato unitario e federalista, significa anche condividere le prospettive di un diverso rapporto tra sistema di istruzione e cittadini. Questo rapporto deve evolvere verso un modello a tre livelli - nazionale, regionale e dei singoli istituti - con un ruolo di indirizzo e di governo dello Stato che dovrà assumere compiti di gestione sempre più mirati ad assicurare il rispetto dei principi di qualità didattica, di equità sociale e di eguaglianza di diritti, valori che la scuola per prima deve infondere nel Paese. Lo abbiamo chiamato il "federalismo solidale" del sistema educativo nazionale. Questo federalismo deve trarre energia e spinta dalla ricchezza delle diversità regionali e locali. E richiede una convinta partecipazione di tutte le forze che animano la società civile, con l'accettazione e la condivisione delle responsabilità e dei doveri che una partecipazione seria impone di assumere.

Tuttavia, la riflessione odierna deve, innanzitutto, servirci per colmare una lacunosa memoria storica per quel che riguarda le basi stesse del nostro sistema educativo, le sue linee evolutive, i necessari confronti con le esperienze internazionali. Il sistema dell'istruzione viene talvolta ancora visto e strumentalmente presentato come un blocco unico e modificabile soltanto attraverso robuste "iniezioni dall'alto" di riforme e di denaro pubblico. A questo si aggiunge una scarsa valorizzazione delle peculiarità territoriali. E, infine, un' insufficiente conoscenza dell'articolazione ed organizzazione del sistema educativo ai diversi livelli di responsabilità, delle relazioni e delle attività didattiche e formative. Prevale così la visione di una scuola "formale", immobile e immutabile, proposta dalle istituzioni e dalla politica che nasconde la dinamicità e la vitalità di una scuola "reale" nella quale le autonomie hanno favorito in questi anni sperimentazioni e innovazioni di grande importanza e significato. Dobbiamo operare perché questa distanza tra scuola "formale" e scuola "reale" si riduca fino a scomparire. E per questo dobbiamo lavorare ad un diverso rapporto tra scuola e cittadino.

Al centro di questo nuovo rapporto sta una corretta visione del problema delle risorse economiche e umane disponibili per perseguire gli obiettivi di qualità e di equità che ci siamo preposti. Diviene quindi necessario formare un campo di opinioni condivise quanto più vasto possibile sui criteri che dovranno regolare l'uso delle risorse.

L'urgenza del compito che ci siamo assunti e dell'impegno che chiediamo a tutti i protagonisti del mondo dell'istruzione é data dai numerosi segnali di un progressivo decadimento che sta assumendo i caratteri di una vera emergenza nazionale. Il 95% delle risorse che lo Stato destina all'istruzione va a coprire i costi correnti, di fatto il costo del personale, mentre una quota minima va in investimenti nella professionalizzazione dei docenti, nell'innovazione didattica, nell'approntamento di percorsi formativi di elevata qualità, nell'ammodernamento delle strutture fisiche del sistema. Peraltro, questo rapporto, del tutto squilibrato, nell'allocazione delle risorse tende a peggiorare: a fronte di una riduzione del personale del 4% prevista tra il 1998 e il 2000 dalle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie, il numero dei docenti é aumentato di 55 mila unità, senza peraltro che ciò impedisse una forte crescita delle supplenze, mentre decine di migliaia sono stati gli inserimenti di personale non docente.

Deve preoccuparci la constatazione del divario che si va così stabilendo tra crescenti impegni di spesa assunti dallo Stato e risultati sempre più modesti ottenuti dal sistema educativo. Nonostante il basso numero di alunni per docente (un insegnante ogni dieci alunni in Italia contro la media dei paesi dell'OCSE di 1 su 15), il 65,5% della popolazione adulta non supera il secondo livello alfabetico. L'Italia risulta ventunesima nella graduatoria internazionale della preparazione scientifica dei suoi studenti e ventitreesima in quella matematica. Il costo per studente della scuola italiana é più alto del 15% rispetto alla media europea. Eppure, soltanto il 40% della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 61% della Francia e l'84% della Germania. I tassi di dispersione universitaria restano da noi i più alti d'Europa: negli ultimi 40 anni, su quasi 10 milioni di giovani che si sono iscritti all'università, i laureati sono stati poco meno di 3 milioni.

Nelle prossime settimane dovremo dunque riflettere attentamente, e con grande senso di responsabilità, su una situazione che rischia di divenire insostenibile se non si vorrà pagare un giorno, temo non più tanto lontano, il pesante prezzo della rinuncia a perseguire l'obiettivo di una maggiore qualità dell'istruzione e di un reale diritto allo studio assicurato a tutti gli italiani. Il grave costo sociale rappresentato oggi dalla dispersione scolastica e universitaria, che allontana sempre più i giovani italiani dal lavoro e dalle attività produttive, e l'alto costo economico che si crea con una qualità dell'istruzione insufficiente per dare al Paese la necessaria capacità competitiva internazionale sono il risultato di due componenti: un grande volume di risorse spese con criteri ed obiettivi non sempre corretti -pensiamo, ad esempio, alla dispersione a pioggia dei finanziamenti nella ricerca- e un significativo volume di risorse perdute a causa dalla bassa produttività, dagli sprechi, delle inefficienze.

Credo sia importante, e per certi aspetti significativo, che un serio confronto sulle risorse del sistema educativo si apra qui in Sardegna, con questo nostro incontro. Sappiamo quanto urgenti sono i problemi legati all' edilizia scolastica in questa regione e avvertiamo l'acuirsi del problema dei livelli occupazionali della scuola. Per la soluzione di entrambi c'é chi propone ulteriori interventi dello Stato e deroghe sulla composizione degli organici.

Per quanto riguarda il primo aspetto, come é noto, il Ministero dell'Istruzione non partecipa direttamente all'attivazione di opere di edilizia scolastica sul territorio, essendone riservata la programmazione alle Regioni e la loro realizzazione ai singoli Enti locali. Cio' nonostante, il Ministero ha in passato contribuito attivamente a questi progetti mediante l'attribuzione di appositi finanziamenti sotto forma di mutui della Cassa Depositi e Prestiti, con totale ammortamento a carico dello Stato. Anche grazie a questi interventi, a partire dal 1996 sono stati attivati piani triennali di programmazione che hanno reso possibile la realizzazione di oltre 500 nuove iniziative edilizie in questa regione. Sulla base delle diverse leggi di riferimento, la Sardegna é oggi al quinto posto tra le regioni italiane per finanziamenti assegnati a copertura di piani straordinari per l'edilizia scolastica. E sappiamo che la Regione Sardegna ha approvato nei mesi scorsi un ulteriore piano straordinario per l'adeguamento degli edifici scolastici alle norme di sicurezza.

Questa integrazione tra il ruolo di programmazione e sostegno svolto dal Ministero e il ruolo di pianificazione, finanziamento ed esecuzione svolto da Regione ed Enti locali ci sembra rappresentare correttamente il modello "federalista" di funzionamento al quale ci vogliamo orientare per il sistema educativo e formativo del Paese.

Quanto ai livelli occupazionali, la Direzione Generale Regionale dell'Istruzione ha operato, spesso in assoluta deroga per comprovate ragioni di ordine sociale, per non eliminare scuole e classi che avrebbero dovuto essere soppresse. Sappiamo, ad esempio, che la Sardegna ha registrato soltanto quest'anno una diminuzione di 6.800 alunni rispetto al numero degli iscritti nel precedente anno scolastico. Nonostante il perdurare dei trend demografici negativi, il rapporto tra insegnanti ed alunni continua dunque ad crescere. In futuro non potremo non operare per una stabilizzazione di questo rapporto. Iniziando da un più rigido controllo delle supplenze e dalla eliminazione degli abusi del loro utilizzo. Saremo comunque attenti a far sì che i provvedimenti in materia di organizzazione scolastica, determinazione e ripartizione degli organici siano presi attraverso un'interazione tra capi d'istituto e direttori regionali in modo tale da assicurare la necessaria flessibilità dei parametri di valutazione e decisioni che tengano conto delle situazioni di particolare disagio territoriale e dei potenziali rischi di esclusioni sociali.

Infine, l'università. Il quadro che presenta la Sardegna ci offre molti spunti di riflessione sul problema della qualità didattica come su quello dell'utilizzo delle risorse e soprattutto sulla debolezza del rapporto esistente oggi tra pubblico e privato nel sistema universitario e della ricerca. All' Università di Cagliari, sui 260 miliardi disponibili lo scorso anno, 210 sono stati destinati agli stipendi del personale, ai quali si sono aggiunti i costi relativi ai contratti esterni ed al pagamento di altre risorse. Inoltre, l' Università di Cagliari disponeva di risorse economiche che per il 99% provenivano da trasferimenti dello Stato. La collaborazione con realtà imprenditoriali private é saltuaria e circoscritta a pochi casi. In una situazione per certi aspetti analoga si é trovata l'Università di Sassari. Gli studenti di Cagliari e Sassari hanno pagato mediamente 1/3 della media delle tasse delle università italiane, l' età media degli iscritti é stata più alta della media nazionale e la percentuale dei fuori corso ha superato il 95% contro il dato medio italiano dell' 80,4%.

Accanto a questo quadro di forte rigidità organizzativa e di forte dipendenza dalle risorse pubbliche, la Sardegna propone oggi numerosi casi di eccellenza. Mi riferisco in particolare al centro di "Neuropsicofarmacologia" e di studio delle "dipendenze" dell'Università di Cagliari oggi noto in tutto il mondo. Ma non possiamo dimenticare il Premio Nobel per la Medicina, Daniele Bovet, che vanta l'ateneo di Sassari e le pregevoli iniziative prese da questa università per ridurre l'abbandono studentesco, per facilitare il decentramento dell'insegnamento secondo le necessità territoriali, per potenziare i servizi a favore dei disabili e, infine, la forte partecipazione dei suoi studenti ai programmi Socrate/Erasmus.

Guardando alla situazione di questa regione, ricca di così tanti chiaroscuri, diventa evidente che quando parliamo di qualità dell'istruzione e della formazione, e quindi del diverso uso che in futuro dovremo fare delle risorse economiche e umane disponibili, ci riferiamo ad una visione unitaria del sistema nazionale: non avrebbe, infatti, alcun senso parlare di qualità didattica a livello universitario senza affrontare contestualmente il problema della qualità della scuola inferiore e superiore, dell'apprendistato e della formazione professionale; né potremmo immaginare soluzioni per l'altro grande problema rappresentato dal settore della ricerca, che in una società industriale avanzata come la nostra deve tornare a svolgere un decisivo ruolo di modernizzazione e innovazione, senza lavorare per una più stretta integrazione tra università, ricerca e imprese.

Nell'esporre in Parlamento e al Paese le nostre linee programmatiche abbiamo indicato con chiarezza alcuni obiettivi:

  1. Ridurre, entro la fine del quinquennio in corso, l'incidenza del costo del personale sull'intera spesa per l'istruzione dal 95% all'80%, affinché si possa disporre di un 20% di risorse da destinare agli investimenti;
  2. Elevare, nello stesso periodo, la spesa pubblica in ricerca dall'attuale 1% del PIL ai livelli degli altri paesi europei, attuando le iniziative necessarie affinché la spesa complessiva del Paese in questo settore salga al 2% del PIL allineandosi agli standard qualitativi e quantitativi dei nostri principali concorrenti.

Sono obiettivi molto ambiziosi che richiedono una profonda riqualificazione della spesa allo scopo di liberare risorse per un miglioramento della qualità didattica e richiedono altresì l'integrazione tra risorse pubbliche e private, attivando nuove fonti di finanziamento e di investimento verso il sistema statale. L'alternativa, che é il rischio da scongiurare, é rappresentata da misure di riduzione di spesa che inciderebbero sulla qualità dei servizi educativi e formativi.

La sfida che ci viene posta dal doppio obiettivo di difendere l'integrità del sistema educativo e innalzarne al tempo stesso la qualità complessiva non é tuttavia posta unicamente da un problema economico di così difficile soluzione. Come in molti altri campi, anche nell'istruzione lo Stato non potrà in futuro essere l'unico promotore del valore del capitale umano né essere custode esclusivo dei patrimoni di competenze tecnico scientifiche. Non é soltanto, si badi bene, un problema di risorse limitate dai vincoli di finanza pubblica sui quali pesano inderogabili impegni presi con l'Unione Europea. La qualità educativa e la parità di diritti saranno sempre più legati ad un sano pluralismo del sistema dell'istruzione; un sistema che dovrà assecondare le aspirazioni degli studenti.

Siamo determinati a portare avanti questo progetto. E siamo altrettanto determinati ad attuare tutte le azioni che ci potranno consentire di accrescere le risorse disponibili e migliorarne l'utilizzo. In questo senso ci muoviamo su due possibili linee di intervento.

La prima é quella di favorire un aumento della partecipazione di capitale privato nel sistema pubblico dell'istruzione, diffondendo nel Paese le iniziative sperimentali realizzate con successo dalle scuole e dalle università che si sono in questi anni associate tra loro e consorziate con imprese private; oppure attivando nuove fonti di finanziamento per interventi strutturali di medio e lungo periodo, per esempio nel campo dell'edilizia scolastica e delle attrezzature tecnologiche. In tal senso intendiamo aprire a breve un tavolo di lavoro con le ex Fondazioni bancarie e con investitori privati interessati ad entrare in progetti di "start up" tecnologici e di ricerca applicata nelle università statali.

La seconda linea di intervento é quella che ci vede impegnati a predisporre un monitoraggio della qualità dei corsi di studio universitari ed un controllo preventivo dell'adeguatezza delle risorse -docenti, attrezzature, aule, assistenza didattica- messe in campo dagli atenei. Riteniamo che sia utile introdurre anche nelle università l'accreditamento al prodotto formativo e la certificazione della qualità dei servizi, stabilendo criteri e requisiti che determineranno l'erogazione dei finanziamenti pubblici agli atenei e daranno agli studenti la possibilità di fare le proprie scelte sulla base di un'informazione chiara e completa.

Al centro della nostra azione saranno infatti, sempre e comunque, gli studenti, i loro bisogni, i loro problemi, le loro aspirazioni. Questo ci sembra l'unico modo possibile per affrontare oggi il problema delle risorse economiche e umane senza perdere di vista gli obiettivi di qualità didattica e di equità sociale ai quali non dobbiamo venire mai meno.

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